L’obbedienza resta fondamentale tra genitori e figli, professori ed allievi, cittadini ed autorità. Non è una virtù assoluta, ma le autorità e le istituzioni se la devono meritare
Riscoprire la vera obbedienza [PDF]
Fece bene don Milani nel 1965, esattamente sessant’anni fa, a dichiarare che “l’obbedienza non è più una virtù”? Io penso di sì, oggi però, guardando lucidamente la condizione della società, bisogna a mio avviso riaffermare il contrario: l’obbedienza è una virtù, una delle più alte. Le virtù e i valori, infatti, non sono degli assoluti, nulla nel nostro mondo ondeggiante lo è; sono piuttosto come dei cibi di cui l’organismo ha bisogno ora di più e ora di meno, ora più proteine e meno carboidrati, ora più carboidrati e meno proteine, a seconda delle stagioni, dell’età e della condizione particolare. Ai tempi di don Milani, in genere nella società e in particolare all’interno del clero a cui egli si rivolgeva (era infatti indirizzato ai cappellani militari lo scritto così intitolato) si proveniva da secoli in cui sul principio dell’obbedienza e la sua rigida gerarchia si era fondato ogni rapporto, quello che portava le mogli a obbedire ai mariti, i fedeli ai parroci, gli intellettuali ai politici, gli operai ai padroni, i poveri ai ricchi, le donne agli uomini. Si trattava di una logica antica e cristallizzata grazie all’educazione instillata fin dai banchi di scuola e ancora prima, la medesima sostanzialmente che aveva prodotto la servitù della gleba nel medioevo cristiano e la schiavitù nel mondo greco-romano. Dopo don Milani arrivò il Sessantotto che fece della disobbedienza il principio cardine dell’impegno civile e da allora essa è diventata sinonimo di autonomia e di libertà, mentre l’obbedienza di sottomissione e di servitù. Chi oggi infatti pensa più che l’obbedienza sia una virtù? …