Il paradosso è che Islam viene dalla radice s-l-m che in arabo forma “salam” e in ebraico “shalom”, cioè pace. Esso quindi significa pace e rimanda alla pace del cuore e della mente che si ottiene quando ci si sottomette a quella verità ultima del mondo tradizionalmente detta Dio. Questo sottomettersi però non è da intendersi come cessazione della libertà, come la Soumission descritta da Michel Houellebecq nel suo nuovo romanzo e come a loro volta l’intendono gli integralismi islamici di ogni sorta, Is, Al Qaeda, Boko Haram, Hezbollah e affini. Si tratta piuttosto di sottomettersi nel senso di “mettersi sotto”, ripararsi, come quando piove forte e ci si rifugia dall’acquazzone. È la medesima disposizione esistenziale che porta i buddhisti a recitare ogni giorno “prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma, nel Sangha”, e che porta i cristiani a dire “Amen” cioè “è così, ci sto, mi affido” o a recitare Sub tuum praesidium. La sottomissione equivale alla custodia e al compimento della libertà del singolo che trova un porto a cui approdare e quindi una direzione verso cui navigare: è questo il fondamento originario alla base dell’Islam e di ogni altra religione…
Oggi però nella mente occidentale l’Islam è ben lontano dal venire associato a ciò a cui la sua radice rimanda. Evoca piuttosto il contrario, la guerra, la lotta, il terrore. Un duplice grande compito attende quindi ogni persona responsabile: prima capire, e poi far capire, che non è per nulla così. Ieri accompagnando mia figlia a scuola pensavo che in classe avrebbe trovato un compagno di fede musulmana e mi chiedevo con che occhi l’avrebbe guardato e con che occhi l’avrebbero guardato gli altri studenti. La disposizione dello sguardo dei figli dipende molto dallo sguardo e dalle parole degli adulti. Ma ora qualcuno provi a pensare di essere un musulmano quindicenne che ogni giorno si sente addosso sguardi diffidenti e rancorosi, e immagini che cosa finirebbe per pensare dell’occidente.
Non sto per nulla dicendo che se c’è il terrorismo islamico è colpa nostra perché noi occidentali siamo malvagi e imperialisti, anche perché sono convinto del contrario, cioè che se c’è il terrorismo islamico è soprattutto per l’incapacità dell’Islam e delle sue guide spirituali di gestire l’incontro con la modernità, come più avanti argomenterò. Sto dicendo piuttosto che siccome il terrorismo islamico purtroppo c’è ed è in crescita nel cuore stesso dell’Europa, spetta a ognuno di noi decidere se trasformare ogni musulmano in un nemico e in un potenziale terrorista oppure no. E tutto procede da come parliamo dell’Islam e da come guardiamo i musulmani.
L’Islam è una grande tradizione spirituale con quattordici secoli di storia e con oltre un miliardo di fedeli. L’idea che a questa religione sia essenzialmente connaturata la violenza è profondamente sbagliata da un punto di vista teorico e soprattutto è tremendamente nociva da un punto di vista pratico, perché non fa che suscitare a sua volta violenza e da qui il gorgo che può finire per risucchiare irrimediabilmente la vita delle giovani generazioni. È vero che nel Corano vi sono pagine violente e che la storia islamica conosce episodi violenti, ma questo vale per ogni fenomeno umano. La Bibbia ha pagine di violenza inaudita e sia l’ebraismo sia il cristianesimo conoscono il fanatismo religioso e la violenza che ne promana. Lo stesso vale per l’hinduismo con l’ideologia detta hindutva. Persino il più mite buddhismo conosce oggi episodi di intolleranza in Sri Lanka e Myanmar.
Dando uno sguardo alla politica, che cosa abbiano prodotto la destra e la sinistra nel ‘900 è cosa nota: repressione dei diritti umani e milioni di vittime innocenti. Andando poi all’evento madre da cui è nata l’idea di laicità nella società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua durata (1789-1799) si registra un numero di vittime variamente stimato dagli storici ma comunque enorme, visto che nei diciassette mesi del Terrore tra il 1793 e il 1794 si ebbero centomila vittime, una media di quasi 200 morti al giorno. E tutto questo nel nome di “liberté, égalité fraternité”, compresa, immagino, la libertà di stampa.
Noi non abbiamo nessun titolo per dare lezioni ai musulmani, se non uno solo: che siamo più vecchi e abbiamo più storia. Oggi buona parte dell’Islam, come l’Occidente cristiano nel passato, sta vivendo l’incontro con la secolarizzazione sentendosi aggredito, nel senso che i processi di laicità e di modernità risultano per esso come dei virus infettivi a cui reagisce attaccando e facendo così venir meno la tradizionale tolleranza che ha contraddistinto buona parte della sua storia.
Dalla Rivoluzione francese alla Seconda guerra mondiale, in un arco di oltre 150 anni, l’Occidente ha vissuto la sua influenza con febbri altissime, imparando alla fine a usare quel metodo della gestione della vita pubblica tra persone di diverso orientamento culturale e religioso che si chiama democrazia (per quanto ancora in modo molto imperfetto).
E noi questo dobbiamo fare: esportare democrazia. Non ovviamente nel senso criminale di George Bush e della sua guerra in Iraq (che ha molta responsabilità per la trappola in cui stiamo finendo), ma nel senso del rispetto delle idee e della vita altrui, da cui si produce quello sguardo amichevole che è il solo vero metodo per suscitare pace e lasciare una società migliore a chi verrà dopo di noi. Questo non significa che non bisogna essere determinati nella lotta contro i terroristi islamici, significa solo che occorre sempre saper distinguere l’organismo dalla malattia contratta. E in questa distinzione dovrà consistere la nostra lotta quotidiana a favore della pace del mondo.
Vito Mancuso, la Repubblica 10 gennaio 2015