«Far comprendere il mistero dell’amore di Dio», scrive papa Francesco nella lettera apostolica di chiusura dell’anno giubilare, ma il termine «mistero» lo si può, anzi lo si deve, applicare all’amore in quanto tale.
Amore? Perdono? In questo mondo dove tutto è calcolo, tecnica, prestazione; in questo mondo dove tutto risponde a una logica del legale, dell’utile, del redditizio, del necessario; in questo mondo dove sempre e comunque tutti devono pagare ogni cosa con il denaro ma ancor più con la libertà, il tempo, la vita; in questo mondo di forti, furbi, potenti e prepotenti, in questo mondo che così è e sempre così sarà, il compito della Chiesa, dichiara finalmente un Papa, è un altro: non di essere l’ennesima istituzione governata dal potere e dalla ricchezza, ma di essere “segno di contraddizione”, paradosso, scandalo, e così di rimandare a un altro stile e a un’altra possibile vita. È l’utopia della gratuità, del disinteresse, della generosità, della nobiltà d’animo: di tutto ciò a cui Francesco si riferisce dicendo «misericordia». Questa parola un po’ oleosa e consunta per il linguaggio contemporaneo, e che nessuno quasi usa più, acquista con lui un sapore nuovo e una freschezza inaspettata …
Per il mondo in cui viviamo e lavoriamo la legge è e sarà sempre importante, esso non ne può fare a meno, come non può fare a meno della spada per punire i trasgressori. Però il compito di quella pazzia che si chiama cristianesimo è un altro. E finalmente da oltre tre anni è arrivato un Papa «dalla fine del mondo» a ribadire che la Chiesa esiste per indicare che al fondo delle nostre esistenze vi è qualcosa di più importante della legge e dell’ordine, ed è l’essere umano nella sua concretezza. Comprensivo di quei disordini umani che la Chiesa chiama “peccati”. E di quel disordine assai particolare che è l’aborto.
Non che per il Papa i peccati non siano più rilevanti e l’aborto non sia più un peccato. Anzi: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente». L’aborto in quanto tale non sarà mai accettabile dalla coscienza cristiana perché essa è convinta che di fronte a una vita diversa dalla propria la signoria dell’Io debba fermarsi e procedere nel massimo rispetto, all’insegna della non-violenza e di quella cultura della pace che si auspica venga applicata dagli Stati nel risolvere i conflitti e da sempre più persone nell’alimentazione e nel trattare gli animali. Quell’esserino chiamato al mondo a sua insaputa, e che ora nel ventre materno vuole solo vivere, va protetto e lasciato sussistere nel suo slancio vitale: non c’è bisogno di essere cristiani per riconoscerlo, tutte le religioni lo fanno, così come numerosi filosofi tra cui Giordano Bruno e Norberto Bobbio. Ma una cosa è l’aborto, un’altra cosa è la donna che abortisce e il medico che le procura l’aborto. Se queste persone comprendono il male commesso verso quell’esserino innocente (a volte procurato per evitare altri mali più incombenti), la Chiesa di Francesco è pronta a concedere il perdono nel modo più semplice perché ciò che finora era riservato ai vescovi viene ora concesso ordinariamente a tutti i sacerdoti. Scrive il Papa: «Concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto». Perché? Perché «posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere».
Siamo lontani anni luce da quell’intransigenza che nel 2009 portò un vescovo brasiliano a scomunicare la madre e i medici che avevano fatto abortire una bambina di soli 9 anni, incinta a seguito delle violenze del patrigno e che rischiava la vita anche per il fatto che si sarebbe trattato di un parto gemellare. A quel tempo dal Vaticano il portavoce del Pontificio Consiglio per la Famiglia sostenne il vescovo, affermando che la Chiesa «non può mai tradire il suo annuncio, che è quello di difendere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale, anche di fronte a un dramma umano così forte». Papa Francesco dice invece un’altra cosa: posiziona la Chiesa non più in difesa come una rigida sentinella, ma in attacco, nel centro del mondo, per annunciare la follia dell’amore universale da lui chiamato misericordia. Questa sua posizione potrà aprire un dibattito sul numero sempre più alto di medici obiettori? Se è vero infatti che l’aborto è sempre un male, è altrettanto vero che talora (per esempio nel caso di stupro o di pericolo di vita della madre) è un male necessario per evitarne di maggiori.
I non pochi denigratori del Papa avranno ora ulteriori argomenti per accusarlo di lassismo. Ma non sanno quello che dicono. Non c’è la minima traccia di lassismo in questo documento, né nell’intera predicazione, né nell’austera persona di papa Francesco. C’è semmai l’attento rigore di chi ha veramente capito in cosa consiste la rivoluzione evangelica, troppe volte tradita dagli apparati ecclesiastici, preoccupati del potere e dell’ordine, e non di essere coerenti con quell’amore evangelico che vuole sempre e solo il bene concreto della persona concreta, e che per questo sa essere più forte anche della legge, compresa quella ecclesiastica.
Vito Mancuso, Repubblica 22 novembre 2016